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Rifiuto di svolgere le mansioni e licenziamento

Il rifiuto di svolgere le mansioni assegnate potrebbe non giustificare un licenziamento.
Il caso affrontato dalla Suprema Corte di cassazione con sentenza del 7 ottobre 2016, n. 20222, vedeva una dipendente che, dopo aver richiesto per circa tre anni alla società il riconoscimento della qualifica superiore per aver svolto attività di manutentore di elicotteri senza ricevere riscontro, si rifiutava di svolgere le mansioni superiori affidate (solo queste).
In conseguenza di tale rifiuto, la società, all’esito del procedimento disciplinare, comunicava il licenziamento alla dipendente, che lo impugnava.
Secondo la Cassazione, poichè il dipendente ha limitato il proprio rifiuto alle sole mansioni di manutentore (svolte per un periodo di circa tre anni) e per le quali per tre anni aveva invano chiesto il riconoscimento del livello superiore, è errato il richiamo alla violazione di un legittimo esercizio dello ius variandi datoriale.
A fronte di inadempimenti posti in essere sia dal datore di lavoro che dal lavoratore, occorre quindi procedere ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avendo riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto ed alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse. Deve quindi considerarsi in buona fede il rifiuto parziale del lavoratore di espletare date mansioni se proporzionato all’inadempimento datoriale consistente nel non riconoscere tali mansioni nella superiore qualificazione reiteramente richiesta.
Il licenziamento, quindi è stato ritenuto illegittimo dalla Suprema Corte.

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