Lo scorso 8 novembre 2018 è stata pubblicata l’importante sentenza n. 194 della Corte Costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’automatismo previsto dal jobs act e dal decreto dignità per il risarcimento del danno da illegittimo licenziamento.
Come noto, i dipendenti assunti a partire dallo scorso 7 marzo 2015 sono sottoposti alle regole che valgono per il c.d. contratto a tutele crescenti che prevede che, in caso di licenziamento illegittimo, il giudice riconosca un risarcimento del danno pari a due mensilità per ogni anno di servizio (con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, nelle imprese con più di 15 dipendenti, e un minimo di 2 e un massimo di 6 nelle imprese più piccole).
Tale soglia è stata modificata dal c.d. Decreto Dignità nel 2018, che ha modificato i risarcimenti indicandoli tra un minimo di 6 e un massimo di 36 mensilità, conservando però l’automatismo nel calcolo del risarcimento del danno del dipendente illegittimamente licenziato.
Con l’importantissima sentenza in commento, la Corte costituzionale si è trovata a giudicare la legittimità costituzionale di queste norme, a fronte di un giudice di merito che ne poneva in dubbio la compatibilità con la costituzione a fronte di una serie di motivazioni.
Veniva in particolare posta in discussione l’esiguità del risarcimento, anche per i casi più platealmente illegittimi, l’illegittimità dell’automatismo che priva il giudice di un potere discrezionale, lo scarso potere dissuasivo della sanzione risarcitoria, il contrasto con la legislazione europea e internazionale, la disuguaglianza che andava creandosi tra lavoratori dipendenti per il solo fatto di essere stati assunti prima o dopo il marzo del 2015.
La Corte di Costituzionale ha in effetti bocciato il jobs act e il decreto dignità.
A parere della Corte, infatti, è incostituzionale il criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato ancorato solo all’anzianità di servizio previsto dal jobs act e dal decreto dignità. Il meccanismo di quantificazione di due mensilità per ogni anno di servizio, infatti, rende l’indennità rigida e uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione forfettizzata e standardizzata del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato. Pertanto il Giudice, nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti minimi e massimi (6-36), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità, dovrà tener conto non solo dell’anzianità di servizio – criterio che ispira il legislatore del 2015 – ma anche degli altri criteri desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizione delle parti).
Una vera e propria rivoluzione nell’ambito delle regole sui licenziamenti illegittimi. Con buona pace di jobs act e decreto dignità.